domenica 31 maggio 2015

INTERVENTO DI MASSIMO MEZZETTI ALL'APERTURA DELLA FESTA NAZIONALE DELL'ANPI, Carpi 30 maggio 2015 (versione integrale)



INTERVENTO DI MASSIMO MEZZETTI ALL'APERTURA DELLA FESTA NAZIONALE DELL'ANPI, Carpi 30 maggio 2015 (versione integrale)

70 anni sono passati, 70 anni e, nonostante i tanti tentativi di disconoscere questa realtà, Resistenza, Costituzione e Repubblica continuano ad essere i tre eventi costitutivi dell'identità naziona­le, che stanno ancor oggi a fondamento del­la coscienza civile degli italiani.

Questo perché eventi di così grande portata non hanno soltanto un carat­tere storico, per quanto importante. Da essi si è sprigionato e continua a sprigionasi un messaggio di grande spesso­re, che esige di essere decifrato mediante un serio accostamento antropologico ed etico.
Questo accostamento appare oggi ancor più necessario di fronte all'affermarsi di spinte in­volutive che tendono a sminuire il valore del­le scelte passate, dando vita a ricostruzioni sommarie e sfociando persino in atteggia­menti denigratori.

Il revisionismo storico che si è più volte sperimentato nei confronti della Resistenza ha tentato e tenta infatti di svuotarne radicalmente i contenuti valoriali, destituendoli della loro forza liberatrice.

L'eredità della Resistenza, il significato del­la Costituzione e dell'unità repubblicana con­servano intatto il loro valore, che non può es­sere ridimensionato, ma implica, per essere pienamente assimilato, uno sforzo di ripen­samento e di adattamento alle nuove situa­zioni prodotte dal ritmo accelerato delle tra­sformazioni, che hanno soprattutto caratteriz­zato questi ultimi decenni.

Le grandi conquiste di libertà e di giustizia, che sono state il frutto della lotta contro la dit­tatura e dell'opera di ricostruzione della vita civile nel nostro paese non possono essere impunemente cancellate; devono piuttosto ri­cevere impulso dalle provocazioni che deri­vano anche dalle nuove visioni del mondo che sono venute man mano emergendo.
La democrazia non è mai una realtà compiuta ma un processo aperto, che esige di essere costantemente portato avanti in vista del con­seguimento di traguardi sempre più avanzati.
Ma la condizione, perché questo avvenga, non può essere semplicemente rintracciata in un quadro di «regole», ispirate unicamente al consenso sociale o incentrate su criteri utili­taristici; deve piuttosto essere ricercata in un'istanza etica forte, che fa da supporto a precisi contenuti valoriali e che fornisce alle stesse regole un fondamento irrinunciabile. Il futuro della nostra nazione è radicalmente se­gnato dalla fedeltà a questa istanza, le cui ra­dici affondano negli eventi tante volte ricordati, celebrati e studiati, i quali acquistano pertanto un significato sim­bolico, che merita di essere riscoperto e ri­proposto in tutta la sua profondità.

D'altra parte, la tentazione spesso ricorrente di cancellare il ricordo della Resistenza, in no­me di un frainteso concetto di pacificazione, da ottenere per alcuni mediante l'azzeramento del passato, oltre a far torto a quanti hanno lottato e sono morti per ideali irrinunciabili, rappresenta un in­quietante sintomo di regressione che è dove­roso respingere senza esitazione e timidezze.

È anzitutto evidente che uno dei tratti peculiari della cultura postmoderna è rappresentato dall’appannamento, quando non dalla perdita della memoria storica. L'accelerazione del tempo, dovuta al progresso scientifico-­tecnologico e alle sue ricadute sulla vita e sul­la coscienza, produce inesorabilmente la tendenza al ripiegamento dell'uomo sul presen­te e determina l'ammutolirsi del passato, la sua caduta nell'insignificanza.

La perdita delle radici pone l'uomo in balia dell'istanta­neo, privandolo di qualsiasi tensione proget­tuale e destituendolo di ogni capacità di im­pegno.
Memoria e storia sono il contrario dell’oblio, che tende tutto a livellare, cancellando le differenze e dissolvendo ogni aspetto di continuità.
Più che un succedersi di avvenimenti conca­tenati tra loro da un disegno unitario, una sorta di filo rosso che li collega, la vita assu­me le sembianze di una permanente «quoti­dianità», caratterizzata da accadimenti semplicemente accostati o giustapposti l'un l'al­tro, senza alcuna interna relazione, e perciò senza continuità temporale.
Il declino della «me­moria», soprattutto di quella relativa agli av­venimenti più recenti, è la logica conseguen­za di questo assottigliarsi della percezione del tempo, di questa riduzione dello scenario in cui si dispiega l'esistenza; in definitiva, di que­sta assenza di passato, che porta con sé anche l'incapacità di aprirsi correttamente al futuro.
La rescissione totale delle radici, oltre a co­stituire un elemento di indubbia gravità per la coscienza storica dell'uomo, è generatrice di esiti traumatici che oggi segnano di sé l'attuale condizione umana.

Dietro a molte recenti ricostruzioni stori­che della Resistenza, che tendono alla sua de­mitizzazione, si cela spesso questa presunzio­ne. L'immaginario collettivo viene radical­mente demistificato, a motivo dell'esigenza di attenersi rigorosamente ai dati oggettivi, de­privando perciò l'evento del suo orizzonte simbolico e tradendone la più profonda ve­rità.
La Resistenza non è infatti riducibile alla semplice lotta armata, per quanto importan­te; è un evento che ha segnato di sé la vicen­da storica di un popolo e la cui rilevanza com­plessiva diventa percepibile solo nel quadro di una riflessione globale sugli aspetti cultu­rali, morali e civili, che ne definiscono l'ispi­razione e ne motivano il senso.
La relazione tra fatti e valori, pur nel rispetto della tensio­ne che tra essi sussiste, non può essere can­cellata: si tradirebbe altrimenti lo spessore reale dell'evento.

Il fascismo non può infatti essere considerato soltanto come un sistema politico negatore della de­mocrazia; esso riveste una valenza molto più ampia, fino a coincidere con una radicale in­terpretazione della vita. La «mistica», che lo ha caratterizzato e il cui fascino illusorio si è fatto a lungo sentire su un'area consistente della popolazione italiana, è la chiara dimo­strazione di questa valenza. Il mito della for­za e della violenza, il nazionalismo esaspera­to e il razzismo, il culto della personalità e l'e­saltazione del maschilismo sono altrettanti fattori che configurano una concezione del­l'uomo e della vita capace di permeare profonda­mente di sé le coscienze e di tradursi in stili di vita individuali e collettivi.
Un eroe della Resistenza veronese, Lorenzo Fava, così scri­veva nel 1944 in un appello ai lavoratori de­stinato alla pubblicazione su un foglio clan­destino: «I mali più gravi sono in noi. Se gli uomini in camicia nera presto mancheranno, lo spirito del fascismo perdurerà. Per spirito del fascismo noi intendiamo la disonestà, l'ar­rivismo, i facili guadagni, l'opportunismo, il ti­more del rischio e il terrore della morte, l'e­goismo e la mancanza di dignità, la insince­rità e la mafia, il protezionismo e il nepotismo. Quando avremo abbattuto tutti questi colossali nemici, allora soltanto avremo eli­minato lo spirito del fascismo».

La Resistenza non è perciò identificabile solo con l'epopea partigiana. Essa è frutto dell'azione coraggiosa di donne e uomini, che colsero fin dall'inizio o percepirono in se­guito durante lo svolgersi degli avvenimenti, la presenza nel fascismo di inquietanti ele­menti non soltanto di involuzione politica e democratica ma anche etica, culturale e civi­le, e che ad essa si opposero con fermo e coe­rente impegno morale e politico. Il movimen­to resistenziale è dunque espressione della maturazione di una coscienza, che è andata via via approfondendosi e dilatandosi, fino a diventare coscienza diffusa e popolare, e a determinare di conseguenza la ribellione nei confronti del regime.
I valori di libertà e di de­mocrazia, di giustizia e di solidarietà, di sal­vaguardia dei diritti degli individui e dei po­poli rappresentano una trama che collega tra loro una molteplicità di esperien­ze diverse, accomunate da un'identica pas­sione per il destino del paese e dell'umanità. La memoria della Resistenza è anzitutto con­segnata a questo ricco patrimonio di valori che non può andare perduto ma deve essere gelosamente custodito e costantemente rivi­sitato, perché non è solo il leit-motiv di una stagione storica, ma è il presupposto fondamentale per la costruzione di ogni assetto di convivenza democratica.
La dimensione più profonda della Resi­stenza è dunque rappresentata dall'elabora­zione di un'etica civile, destinata a segnare di sé la vita del nostro paese.

I principi informa­tori della Carta Costituzionale, attraverso la quale l'Italia si è sforzata di ricostruire, dopo la caduta del fascismo, un nuovo ordine de­mocratico, trovano qui il loro fondamento.

La stretta coniugazione di libertà e di giusti­zia, il rispetto dei diritti dei singoli e l'atten­zione all'interesse generale, l'affermazione della pari dignità ed uguaglianza di ogni per­sona e insieme della comune solidarietà, il ri­conoscimento dell'autonomia dei gruppi so­ciali e del necessario decentramento dei po­teri dello Stato, ma, nello stesso tempo, l'e­sigenza di un rafforzamento dell'appartenen­za nazionale sono alcuni degli aspetti princi­pali della nostra Costituzione (non tutti ancora pienamente attuati),'che riflettono i valori più genuini dell'antifascismo e della Resistenza e sui quali è venuto costruendosi il tessuto della vita sociale e politica della Re­pubblica italiana in quest'ultimo cinquanten­nio.

La Co­stituzione italiana non ha infatti soltanto il carattere di car­ta delle «regole», che devono presiedere al corretto funzionamento delle istituzioni pub­bliche, ma è anzitutto carta dei «valori», che definiscono il senso dell'appartenenza collet­tiva, e sono pertanto destinati a creare le condizioni per una ordinata convivenza civile.
La nostra Carta Costituzionale è permeata da un gran­de afflato etico, che si incarna tanto nel rico­noscimento di valori fondamentali come quelli della libertà e dell'uguaglianza, della democrazia e del pluralismo quanto nell'im­pegno positivo di individuare gli strumenti ca­paci di renderli efficacemente operativi nel­l'ambito della vita sociale.
Il patto di reciproca convivenza che dalla Costituzione scaturisce e che è il ri­sultato di un compromesso nobile tra posi­zioni diverse, non poteva infatti aver luogo senza la convergenza attorno a valori comu­ni, universalmente riconosciuti come base fondativa della vita associata e come presup­posto irrinunciabile dell'azione politica.
Nell'attuale congiuntura storica, in cui le tendenze revisioniste non si limitano a met­tere sotto processo aspetti particolari, legati al cattivo funzionamento dei meccanismi istitu­zionali, ma pretendono talora di ridiscutere gli stessi principi fondamentali ai quali è an­corata la vita democratica, recuperare l'ethos della Costituzione diventa un dovere irrinun­ciabile.
Le innovazioni, che è legittimo intro­durre per rendere più snelle le procedure di gestione della vita pubblica, non possono cancellare o rimuovere il patrimonio della memoria stori­ca, che sta a fondamento della nostra Repub­blica e che rende vitali gli stessi rapporti tra le generazioni.
Un patrimonio che non riguarda unicamente l’esperienza drammatica vissuta dal popolo italiano in quegli anni ma, come ci incitava a pensare Dossetti,  guarda all'orizzonte globale, universalistico, nel quale va ricondotta la matrice profonda dell'ordinamento costituzionale.
La Costituzione è il frutto di un ethos comune, consolidato da esperienze negative e alimentato da una forte tensione morale pre­sente nella società. Un ethos che andava ben al di là delle dif­ferenze ideologiche caratterizzanti le aree che hanno espresso i vari partiti politici e rappre­sentava il dato decisivo attorno al quale si è coa­gulata la volontà di coloro che hanno preso parte all'assemblea costituente. Il confronto serrato tra le tre grandi correnti culturali - quella cattolica, quella di ispirazione marxi­sta e quella liberale - è stato sorretto da un comu­ne sentire, che ha reso possibile il superamento delle pur consistenti divergenze che le contrapponevano - e che sarebbero in seguito tornate a contrapporle - per creare condizioni di collaborazione tali da consentire di dare al nostro paese un documento capace di svol­gere un ruolo unificante. L'emergere sul piano dei contenuti di posizioni diverse, e talora persino radicalmente antitetiche, non ha vanifi­cato la possibilità di confluire in un terreno co­mune costituito dall'adesione a principi mo­rali considerati imprescindibili. La marcata di­stanza tra concezioni ideologiche, che hanno fatto da supporto a progetti politici alternativi, si accompagnava ad una grande convergenza sul terreno etico, che favoriva il dialogo e con­feriva la capacità di un accordo di altissimo livello.
E quanto è amaro, diciamoci la verità, constatare l’abisso tra il clima che si respirava e che rendeva feconda l'azione dei Costituenti e quello che caratterizza oggi le nostre istituzioni politiche.

Il momento storico, nel quale. si sono svol­ti i lavori della Costituente, deve perciò esse­re considerato come un momento unico ed irrepetibile, al quale occorre ancor oggi fare riferimento, se si intendono ritrovare, sia pu­re aggiornandole e ridefinendole, le motiva­zioni che vanno poste alla radice dell'identità nazionale, perché fondano la possibilità di una convivenza civile libera e giusta.
Il progetto etico soggiacente alla Costitu­zione conserva infatti intatta la sua attualità. La vi­sione che sta a fondamento del suo intero impianto, incentrata sulla realtà della persona e sulla tutela della sua dignità, nonché sul riconoscimento della fondamen­tale importanza del lavoro e della cultura co­me cespiti di un'autentica realizzazione uma­na e presupposti essenziali per il pieno dispie­gamento di una cittadinanza civile socialmen­te impegnata, costituisce un dato irrinuncia­bile, che va assolutamente salvaguardato.
Al­trettanto irrinunciabile risulta la delineazione dei diritti di libertà e di quelli sociali, e so­prattutto la prospettiva secondo la quale ven­gono messi in rapporto tra loro: prospettiva che definisce anche l'orientamento delle va­rie attività socio-economiche e politiche e dei legami che tra queste devono intercorrere nel segno di un'interazione positiva tra sussidia­rietà e solidarietà.
È allora evidente che qualsiasi azione ri­formatrice non possa prescindere dal rispetto di queste fondamentali direttrici, che rifletto­no lo spirito che anima la Costituzione, e in cui si radicano i principi, che hanno consen­tito al nostro paese lo sviluppo di un'auten­tica vita democratica. I valori che la Costi­tuzione disegna nella sua prima parte, in quanto radicati nel tessuto sociale, sono stati a fondamento di un diffuso senso di «apparte­nenza» che ha definito l'identità della nostra na­zione e fonda ancora oggi la convivenza civile sul rispetto di precisi diritti e doveri.
Per questo va respinto ogni tentativo di svalutazione della Carta Costituzionale, co­me quello che conduce impropriamente e superficialmente a parlare di «seconde o torze Repubbliche», quasi si trat­tasse di accantonare radicalmente il passato, rinunciando al sistema di libertà e di garan­zie faticosamente conquistato. Il grande spessore etico e culturale delle affermazioni della Costituzione sui diritti inviolabili dell'uo­mo, sui doveri di solidarietà politica, economica e sociale, sulla pari dignità della perso­na, senza distinzione di sesso, di razza, di lin­gua e di religione, sul ripudio della guerra so­no altrettanti presupposti della democrazia che non possono venire accantonati.
Questo non significa, ovviamente, che si debba negare la possibilità (e persino la ne­cessità) di procedere ad una sua revisione, che tenga conto delle mutate condizioni so­cio-culturali del nostro paese e, più in gene­rale, del processo di unificazione europea, la cui espansione esige l'adozione di regole nuove.
Al riguardo, risulta anzitutto evidente l'esigenza di affrontare alcune questioni, emerse in questi ultimi decenni, che non han­no trovato (e non potevano trovare) il giusto spazio nella Carta Costituzionale. Si pensi al complesso problema delle comunicazioni so­ciali, affrontato in modo del tutto insufficien­te dall'art. 21, non esistendo ancora l'attuale sistema multimediale; o ancora al proble­ma ecologico, solo parzialmente sfiorato dall'art. 9, in cui si considera la tutela del pae­saggio solo come bene estetico; o infine al problema dei diritti di cittadinanza degli immigrati, divenuto oggi particolarmente rile­vante ma allora del tutto ignorato essendo l'I­talia piuttosto un paese di emigrazione.

Ma l'attuale processo di riforma della Co­stituzione è soprattutto volto a ritrascrivere la seconda parte alla ricerca – almeno così dovrebbe essere - di un più serio bilanciamento tra esigenze di efficienza e di go­vernabilità da un lato, ed esigenze di rappre­sentanza e di partecipazione dall'altro.
Ormai tutti riconoscono l'ineludibilità della revisione di alcuni meccanismi istituzionali in ragione del cattivo funzionamento di alcuni aspetti del si­stema politico, che hanno determinato, soprattut­to negli ultimi decenni, la paralisi dell'attività di governo e generato pericolose forme di in­quinamento morale della vita pubblica. La ri­cerca di un nuovo equilibrio nei rapporti tra i diversi poteri, con l'acquisizione di una mag­giore autonomia tra essi sono elementi di un processo di riforma che non può essere eluso.                                                                                                
La complessità dell'operazione attualmente in corso esige tuttavia che ci si muova con oculatezza e ponderazione. Lo stretto rappor­to intercorrente tra i principi fondamentali, contenuti nella prima parte, e i dispositivi tec­nico-amministrativi della seconda parte com­porta una seria attenzione a non intaccare le basi stesse della Costituzione. Le decisioni che si stanno assumendo sono infatti soltan­to apparentemente tecniche; in realtà chiamano più radicalmente in causa i contenuti essenziali, e dunque valoriali, sui quali si è co­struita la democrazia repubblicana.
Come ha avuto modo di dire il presidente (ora emerito) della Corte Costituzionale Valerio Onida, questo scenario potrebbe “non significare democrazia più immediata, ma meno democrazia”. 

Le Costituzioni sono fatte di pasta specialissima
La materia speciale di cui sono fatte le costituzioni è l’adesione a qualcosa da costruire in comune. Azione costituente è precisamente cercare i contenuti di questa adesione e metterli per iscritto. A volte affiora invece la tentazione del risultato contrario: la sconfitta dell’avversario, con un colpo di maggioranza assestato con forza dei numeri.
La riforma della Costituzione è una cosa seria, che va affrontata con coraggio, ma an­che con lucidità e con un preciso senso del limite.

Ecco, in conclusione…tutto questo ragionamento mi è servito per dire che la Resistenza non può essere dunque identificabile solo con i fatti d’arme circoscritto nel tempo e nello spazio. Essa è stata il frutto dell’azione coraggiosa di donne e uomini, che colsero fin dall’inizio o percepirono in se­guito durante lo svolgersi degli avvenimenti, la presenza nel fascismo di inquietanti ele­menti non soltanto di involuzione politica e democratica ma anche etica, culturale e civi­le, e che ad essa si opposero con fermo e coe­rente impegno morale e politico. Il movimen­to resistenziale è stato dunque espressione della maturazione di una coscienza, che è andata via via approfondendosi e dilatandosi, fino a diventare coscienza diffusa e popolare, e a determinare di conseguenza la ribellione nei confronti del regime.
I valori di libertà e di de­mocrazia, di giustizia e di solidarietà, di sal­vaguardia dei diritti degli individui e dei po­poli rappresentano una sorta di filo conduttore che collega tra loro una molteplicità di esperien­ze diverse, accomunate da un’identica pas­sione per il destino del paese e dell’umanità ed è il presupposto fondamentale per la costruzione di ogni assetto di convivenza democratica.
La dimensione più profonda della Resi­stenza è dunque rappresentata dall’elabora­zione di un’etica civile, destinata a segnare di sé la vita del nostro paese.
I principi informa­tori della Carta Costituzionale, attraverso la quale l’Italia si è sforzata di ricostruire, dopo la caduta del fascismo, un nuovo ordine democratico, hanno trovato lì il loro fondamento.
Salvaguardare la memoria di questa etica, su cui si sono costruiti i legami di appartenenza alla nostra nazione, ci sembra un compito inderogabile di ogni cittadino che abbia seriamente a cuore le sorti della demo­crazia.

Se crediamo, e io ci credo, che queste parole hanno un loro fondamento, allora è tutto qui il senso di essere ancora qui, ancora una volta, dopo 70 anni.

W LA RESISTENZA, W LA COSTITUZIONE, W LA REPUBBLICA

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