sabato 5 settembre 2015

VADEMECUM PER UN NUOVO PARTITO DELLA SINISTRA CHE UNISCA E NON DIVIDA.
PER UN PARTITO DI LOTTA E DI GOVERNO.

·        L’obiettivo di costruire un partito che riesca a mettere insieme le diverse anime della sinistra italiana è un obiettivo generoso e giustamente ambizioso. Un obiettivo indispensabile per dare voce e forza alle istanze politiche, sociali e culturali del mondo del lavoro e dei soggetti più esposti ai processi di accumulazione del profitto che generano disparità e ingiustizia sociale.  

·        Ricordarsi che non è la prima volta nella storia della sinistra in Italia che qualcuno prova ad unirla.
Se fino ad oggi nessuno ci è riuscito ci sarà una qualche ragione. Cerchiamo di capire quale e di non ripetere gli stessi errori.

·        Mai, dico MAI, farsi incantare dalle previsioni dei sondaggi (guardare alla voce Lista Arcobaleno delle elezioni politiche del 2008, quando i sondaggi ISPO la davano al 15%). Prendere voti richiede fatica e sudore.

·        Guardare all’Italia, al panorama politico italiano, alle forze in campo nel nostro Paese e ai rapporti di forza esistenti fra loro. Guardare alle esperienze di altri Stati a noi vicini può darci qualche indicazione ma sarebbe sbagliato crearsi illusioni o aspettative alla luce dei loro successi, può essere pericoloso. Podemos e Syriza crescono e si affermano in assenza di una originale, nonché contraddittoria, esperienza politica che in Italia raccoglie un robusto consenso elettorale: il M5S.

·        Prima di cominciare qualunque percorso di unità bisogna domandarsi: con chi? Per che cosa? Come?
Va da sé che le prime due domande sono strettamente correlate e precedono il “Come”. Partire dalla prima e dalla terza domanda e solo dopo porsi il tema del “Per cosa” espone al grave rischio del fallimento immediato o al primo scoglio che si incontra lungo il cammino. L’esperienza recente di Syriza dovrebbe insegnare qualcosa. L’edificio di un partito della Sinistra va costruito sulla roccia della strategia e non sulla sabbia dell’immediato obiettivo tattico elettorale.

·        Prima dei programmi viene il pensiero, il pensiero politico, la direzione di marcia dentro la quale inscriviamo, giorno per giorno, le scelte programmatiche.

·        Volere “tutto e subito” è un errore che nella storia ha condannato alla sconfitta qualunque esperienza politica.

·        Altrettanto fallimentare, e speculare a questa, è stata l’idea di non accettare nulla oggi in attesa del radioso “sol dell’avvenire”.

·        Porsi il tema del cambiamento e della trasformazione della società richiede una particolare dose di coraggio riposta nella consapevolezza che prima o poi ci si dovrà cimentare con il governo delle istituzioni. Il cimento del governo può richiedere scelte difficili, graduali, compromessi e mediazioni ma, soprattutto, una politica di alleanze, nella società e nelle istituzioni stesse.

·        L’idea di misurarsi con il governo della società e del Paese solo quando si sarà conseguita da soli la maggioranza dei consensi è un’idea balorda (non a caso perseguita dal M5S) che cozza con il buon senso prima ancora che con la politica. E’ una idea che consegnerebbe la sinistra e le sue istanze sociali all’oblio e all’insignificanza per lunghi anni a venire.

·        Il Pd nazionale attualmente non rappresenta più le istanze di quella parte della popolazione che abbiamo la giusta aspirazione a rappresentare noi come Sinistra. Non le rappresenta per volontà del suo attuale gruppo dirigente e del suo Premier. La breve esperienza di Italia Bene Comune e di un nuovo Centro Sinistra è stata rinnegata e ritenuta conclusa da Matteo Renzi. Accettare e dare per scontata l’impraticabilità di quella esperienza è un atteggiamento paradossalmente subalterno a Renzi e a questo PD. Sarebbe come dire che la Sinistra è morta e sepolta perché Renzi la ritiene tale.

·        Ricordarsi come era andata a finire una recente e simile esperienza (sempre nel 2008 e sempre con L’Arcobaleno), quando la invocata autosufficienza del Pd del Lingotto di Veltroni trovò la gioiosa accoglienza di Fausto Bertinotti che dichiarò la “separazione consensuale”. Come andò a finire (la drammatica cancellazione di tutta la sinistra dal parlamento e la riconsegna del Paese nelle mani di Berlusconi) credo se lo ricordino tutti.

·        Nei gruppi dirigenti del PD diffusi nei territori non tutti la pensano come Renzi e i suoi più stretti collaboratori. Disagio e dissensi più o meno espliciti vi sono anche nel corpo dei militanti e soprattutto degli elettori e solo una parte (ancora piccola) di questo è rappresentato da quanti hanno deciso di lasciare il PD.

·        Con tutta questa area va mantenuta una relazione, insieme a loro e a quanti sono usciti dal PD (a condizione che non facciano del risentimento la cifra della loro azione politica perché non è con il risentimento che si agisce lucidamente) dobbiamo operare sui territori per ricostruire le ragioni e le condizioni di un nuovo Centro Sinistra (o come lo si voglia chiamare) e dal territorio tornare ad affermare questa prospettiva anche a livello nazionale sconfiggendo Renzi e cambiando il famigerato impianto dell’Italicum.

·        L’autonomia e l’identità di un Partito della Sinistra non si affermano in rapporto alla distanza che si misura rispetto al PD. Anche questa è il sintomo di una subalternità culturale e politica.

·        L’opposizione al Governo Renzi è necessaria e fuori discussione ma affermare che il PD è Renzi e che nel governo dei territori il Pd non potrà che applicare pedissequamente le scelte e linee di questo governo e che eventuali nostre alleanze sui territori ci renderebbero complici è una colossale sciocchezza, una forzatura interpretativa e uno schematismo astratto che non fa i conti con le dinamiche reali e neppure con la complessità rappresentata da quel partito. Questa affermazione è a dir poco ingenerosa, quando non è invece la palese manifestazione di totale assenza di fiducia e di giudizio sulle intelligenze diffuse che abbiamo nei territori e che stanno conducendo esperienze di governo significative e nel segno della discontinuità con le politiche “romane”. Se in Emilia-Romagna tutte le forze sociali ed economiche sottoscrivono insieme alla Regione un Patto per il Lavoro e la Legalità che trova il consenso unanime della CGIL, significherà pur qualcosa e questo è solo uno dei tanti esempi che potrebbero essere fatti. E’ tutto luci e nessuna ombra? Ma per carità! Nessuno è così sciocco da pensarlo e dirlo. Ma, ancora una volta, l’esperienza di Tsipras ci dovrebbe insegnare cosa significa misurarsi con le necessarie mediazioni, alle volte anche difficili.

·        Le esperienze di governo in cui siamo o siamo stati protagonisti e dove gli uomini e le donne di SEL hanno fatto la differenza, vanno valorizzate e non ridimensionate per portare acqua alle proprie tesi alternative al Centro Sinistra. Ripartiamo da Milano, Cagliari, Genova, Rieti, Molfetta, Bologna, Lazio, Puglia….Riconquistiamo l’orgoglio e la capacità di narrare le tante storie di buon governo di cui siamo stati e continuiamo ad essere artefici. Non regaliamole al PD, non dissipiamo questo patrimonio.
·        Laddove governiamo lo facciamo in virtù di un mandato che gli elettori ci hanno dato in base ad una proposta di alleanze e di programmi. Quel mandato va rispettato e salvaguardato.


·        Abbandoniamo l’idea che tutta la partita si giochi a Roma: è un’idea vecchia, di palazzo e politicista. Come politicista e opportunista e l’idea di concorrere nelle elezioni comunali ovunque con liste alternative e antagoniste al Pd e poi, nei casi di ballottaggio, accordarci tra il primo e il secondo turno con il migliore offerente laddove l’alternativa al PD fosse il M5S.
Non si costruisce un Partito della Sinistra per posizionarlo tra l’incudine (PD) e il martello (M5S). A meno che qualcuno non pensi che la nostra strategia futura debba essere l’alleanza, non dichiarata per assenza di volontà dell’interlocutore, con il M5S.
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      Un partito non può nascere con la vocazione eterna alla sola alternatività al sistema o al solo governare fine a se stesso. Berlinguer coniò il motto “Partito di lotta e di governo”. Questo dobbiamo essere.

·        Mettersi sulla strada dell’unità tra diverse storie, percorsi, culture richiede il rispetto e l’ascolto delle reciproche opinioni e idee. Pensare di costruire l’unità con gli anatemi e il riflesso condizionato dell’uso delle categorie staliniste del tradimento e dell’”intelligenza con il nemico” nei confronti di chi la pensa diversamente da se, non porta lontano. Anzi, non porta proprio da nessuna parte. Iniziare un processo unitario a sinistra invitando a farsi da parte e ad andare via chi ha punti di vista differenti dal proprio, non sull’approdo finale ma sui contenuti di questo processo, è privo di senso logico e denota un tratto incontrovertibile di quel settarismo residuale per sconfiggere il quale era nata SEL nel 2010.