venerdì 2 dicembre 2016

LE MIE RAGIONI PER UN NO, MOTIVATO E DI MERITO
Siamo quasi alla fine di questa lunga ed estenuante campagna referendaria. In queste ultime 48 ore sono caduti tutti i freni inibitori e molti stanno dando il “meglio” di se. Mi sottraggo al pandemonio di invettive e allarmi “terroristici” per tornare, ancora una volta, ricorrendo alla “fatica del concetto”, alle ragioni di merito per le quali voto NO. Chi interverrà è pregato di farlo solo stando al merito delle mie considerazioni. La propaganda anche no…grazie!
(Chiedo scusa per la lunghezza ma la materia richiede uno sforzo di applicazione e, se avrete il tempo e la pazienza di leggerle, spero non ve ne pentirete. Nel caso chiedo scusa in anticipo di avervi rubato alcuni minuti della vostra giornata)
La riforma costituzionale approvata si compone di 47 nuovi articoli che intervengono sulla seconda parte della Costituzione vigente, ma non per questo meno essenziali. Lo fa, a mio avviso, in modo confuso, raffazzonato e contraddittorio. In alcuni passaggi fondamentali rimanda a successive leggi e regolamenti che potranno segnare in un verso o nel suo opposto l’elemento riformatore. Sempre a mio avviso, si genereranno contenziosi forse più numerosi di quelli che si sono registrati in questi anni fra Stato e Regioni. A tal proposito ritengo indecoroso che il Governo di uno Stato che viola reiteratamente la Costituzione e le norme laddove queste obbligano a legiferare d’intesa con la Conferenza delle Regioni (e non, come viene detto, con le singole Regioni), classifichi queste violazioni come “cavilli burocratici” e offenda l’autorità della Corte Costituzionale perché non si è genuflessa alla sua arrogante condotta.
Metterò dunque in luce alcuni degli elementi che reputo più rilevanti.
Articolo 55
Il senato (comma 4) viene trasformato in un organo che “...rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica.”
E' stato giustamente osservato che questa radicale trasformazione del Senato contiene un'ambiguità di fondo e dà luogo ad un'assemblea ibrida e pasticciata sul piano teorico e pratico.
In sostanza: se si vuole che i senatori rappresentino i territori non devono essere eletti dai legislativi (i consigli regionali), ma nominati dagli esecutivi (come in Germania) e operare con vincolo di mandato; se si vuole che i senatori partecipino al processo legislativo (e di revisione costituzionale), allora devono essere eletti dal popolo e operare senza vincolo di mandato.
La riforma non ha fatto né l'una, né l'altra cosa, sbagliando dall'inizio il ruolo da attribuire al nuovo Senato.
Articolo 57
Si tratta di un articolo essenziale riguardante la composizione e la modalità di elezione del nuovo Senato, il quale sarà composto da 100 senatori, 95 espressione delle istituzioni territoriali, 5 nominati dal Presidente della Repubblica.
Al comma 2 si stabilisce che “ I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori.”
Si tratta dunque di 74 senatori consiglieri regionali e di 21 senatori sindaci per un totale di 95.
Il comma 2 stabilisce chiaramente che il nuovo senato non sarà più eletto dai cittadini, ma dai consigli regionali.
Al comma 5 si scrive che “ La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti...”, fin qui è chiaro ma così facendo si crea un enorme problema attinente la composizione del senato, infatti il mandato dei consiglieri regionali e dei sindaci non coincide con quello del senato; non solo ma i sindaci e i consiglieri regionali vengono eletti in date diverse corrispondenti a diverse tornate elettorali (senza neppure considerare eventuali casi di crisi istituzionali nelle regioni e nei comuni). In questo modo il senato diventa la più instabile delle assemblee con senatori che vanno e altri che vengono in rapporto ai loro diversi mandati elettorali dando vita a un'assemblea che potrebbe normalmente non poter contare sul totale dei suoi componenti.
Ma il bello deve ancora venire, perché il resto del comma 5 è un groviglio verbale sostanzialmente incomprensibile. Riprendiamo il comma 5, “ La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma.”. Come interpretare una frase di questo tipo?
Autorevoli sostenitori del si affermano che il fatidico “in conformità alle scelte espresse dagli elettori...” significa che la legge che successivamente all’eventuale esito positivo del referendum dovrebbe essere approvata, potrà dare ai cittadini il potere di scelta.
E dunque arriviamo al comma 6. “Con legge approvata da entrambe le Camere sono regolate le modalità di attribuzione dei seggi e di elezione dei membri del Senato della Repubblica tra i consiglieri e i sindaci...”. Innanzitutto il legislatore si è dimenticato di precisare quali consiglieri, visto che ci sono nel nostro sistema istituzionale anche i consiglieri comunali.
Ma il punto vero è il seguente, come abbiamo visto sopra, il comma 2 dell'articolo 57 è piuttosto chiaro e stabilisce che “I Consigli regionali...eleggono i senatori tra i propri componenti...”.
Di fronte a questa scelta, i commi 5 e 6 non possono far altro che dare piena attuazione a quanto stabilito dal comma 2 , non si scorge altra possibilità.
Diversamente si aprirebbero le porte di una serie di contraddizioni insostenibili con immaginabili conseguenze di conflitti a ripetizione davanti alla Corte Costituzionale.
Voglio dire che la legge di cui al comma 6 non ha il potere di modificare quanto stabilito al comma 2, così pure il disegno di legge Chiti di cui si è parlato nei giorni scorsi, non può certo mettere a posto ciò che è scritto nella rinnovata Costituzione perché, ovviamente, una legge ordinaria non può modificare la Carta Costituzionale. Tutte le interpretazioni, le proposte, le correzioni di cui si sta parlando, ammesso che siano fatte in buona fede, sono totalmente velleitarie e destinate a rimanere nel mondo dei desideri, però sono utili per confondere gli elettori, per occultare o cercare di occultare, la triste realtà di un Senato non più eletto dai cittadini.
E allora mi sia consentita una considerazione, per inciso: perché la legge elettorale per il Senato è stata rinviata a dopo il Referendum e quella per la Camera (l’Italicum) si è voluta approvare a colpi di fiducia senza ancora conoscere l’esito referendario?!?
Articolo 70
Al comma 1 vengono definiti poteri del nuovo Senato, cioè le materie sulle quali continua a svolgere la funzione legislativa insieme alla Camera.
Il comma è molto lungo e quindi è più semplice elencare sommariamente tali materie.
Il Senato legifera su: le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, quelle riguardanti i referendum e altre forme di consultazione popolare, tutta la legislazione riguardante i comuni e le città metropolitane, i provvedimenti che si occupano della partecipazione dell'Italia alla definizione delle normative e delle politiche dell'Unione Europea, le norme che disciplinano i casi di ineleggibilità e incompatibilità dei senatori. Su queste materie più alcune questioni “minori”, i poteri del Senato restano intatti e le due camere operano in regime di bicameralismo paritario come ora. Inoltre il Senato può esaminare tutte le altre leggi approvate dalla Camera entro dieci giorni e proporre formali modifiche alla stessa entro 30 giorni da quando ha ricevuto la nuova legge.
Su queste proposte di modifica la Camera si pronuncia in via definitiva.
I poteri e i compiti del Senato sono certamente diminuiti e di molto rispetto alla Costituzione attuale, ma più che essere una Camera di rappresentanza delle istituzioni locali, il nuovo Senato sembra un'assemblea con potere su poche materie molto rilevanti. Si potrebbe parlare di un “bicameralismo dimezzato” più che di superamento del bicameralismo.
Si possono fare molte considerazioni su questo nuovo assetto che non sarà privo di sorprese, intanto si può avanzarne una che non va nella direzione del quadro idilliaco dei fautori della riforma.
Il Senato non darà più la fiducia al governo, fatto che rappresenta emblematicamente la sua riduzione ad una camera di rango inferiore, però resta il fatto che le materie di sua competenza sono molto rilevanti, in questo senso il bicameralismo non è affatto superato.
L’unica materia che poteva essere un elemento di forza per la rappresentanza delle Regioni e dei Comuni, la Legge di Bilancio dello Stato che incide sulla vita delle Autonomie Locali, è stata sottratta al Senato delle Autonomie. Il Senato può dunque esprimersi sui trattati europei ma non sulla Legge che la riguarda più da vicino.
C'è poi un'altra considerazione da fare, quale può essere il profilo di un'Assemblea che non è legata da un rapporto di fiducia col governo?
E' stato acutamente osservato che il punto di debolezza del nuovo Senato potrebbe trasformarsi in un elemento di forza nei casi di un' eventuale e per nulla impossibile conflitto col governo. Ovvero un Senato dimezzato, ma ancora dotato di poteri, può diventare un'assemblea incontrollabile e una mina vagante nel mare incerto della dialettica parlamentare e degli equilibri istituzionali.
Articolo 71
Oltre a stabilire i termini entro i quali la Camera deve pronunciarsi sulle leggi proposte dal Senato, Quest'articolo disciplina diversamente l'istituto delle leggi di iniziativa popolare.
L'unica vera novità consiste nel numero di firme necessarie per proporre alla Camera una nuova legge che aumentano da 50000 a 150000.
Contrariamente a quanto affermato dai sostenitori della riforma, nel testo non c'è traccia dei tempi precisi e non derogabili per l'esame delle proposte, infatti tutto è rinviato ai regolamenti parlamentari che attualmente non prevedono limiti perentori per l'esame delle proposte stesse.
Articolo 75
Al comma 4 si modifica la disciplina del referendum abrogativo stabilendo un regime di doppia maggioranza. Alla regola attuale se ne affianca un'altra molto rilevante, nel caso in cui la proposta referendaria sia avanzata “ da ottocentomila elettori “ il quorum per la validità del referendum cambia. In questo caso infatti basterà la partecipazione al voto della “ maggioranza dei votanti alle ultime elezioni della Camera dei deputati...”.
Il commento su questo non è semplice, ma a me la nuova regola non piace, scrivere in Costituzione che si deroga al principio di maggioranza (anche se qui parliamo di maggioranza degli aventi diritto al voto), è cosa molto discutibile.
Supponiamo che alle prossime elezioni politiche la partecipazione al voto sia intorno al 60% degli aventi diritto, ognuno può immaginare cosa significhi questo in chiave referendaria: un terzo circa degli elettori potrebbe abrogare leggi più o meno importanti.
In questo modo avanza l'idea di una sorta di società in mano a minoranze più o meno ampie, che agiscono in un regime di democrazia minoritaria. Si dirà che è già così per molti aspetti, ma anche se fosse vero, ogni passo nella direzione dell'adeguamento della Costituzione formale a quella materiale non mi convince e non mi piace.
Articolo 83
Al comma 2 viene modificato il numero di voti necessari per eleggere il Presidente della Repubblica, introducendo due nuovi quozienti, “Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell'assemblea. Dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti.” La modifica è rilevante. Il presidente della Repubblica oltre agli importanti poteri che gli competono, svolge un ruolo generale di garanzia e di rappresentanza dell'unità nazionale, per queste ragioni si è sempre cercata la convergenza su persone capaci di non rappresentare solo una parte del paese. Un facile conto permette di comprendere che i tre quinti dell'assemblea, nel contesto di una platea sensibilmente ridotta di numero pari a 730 aventi diritto (i Senatori passano da 315 a 100, non è più prevista la presenza dei consiglieri regionali), con una maggioranza parlamentare che ha a disposizione 340 voti, è pari a circa 435 voti; mentre dal settimo scrutinio potrebbero bastare i tre quinti di 366 votanti, pari a 220 voti.
Occorre osservare che nel primo caso (i tre quinti dell'assemblea), i numeri a disposizione della maggioranza appaiono esorbitanti rispetto al quorum necessario per eleggere il presidente; mentre nel secondo (i tre quinti dei votanti) si potrebbe configurare il caso di un presidente eletto da una minoranza dell'assemblea (scusate il bisticcio di parole), veramente esigua e scarsamente rappresentativa.
E' stupefacente la disinvoltura con cui il Presidente del Consiglio ha, in più occasioni, sostenuto che i quozienti più bassi non saranno un problema perché le minoranze hanno tutto l'interesse a partecipare al voto sul Presidente della Repubblica perciò, sembra di capire, i quorum rimarranno sulla carta. Evidentemente Renzi finge di ignorare quanti e quali giochi tattici e manovre politiche si svolgano intorno all'elezione del capo dello Stato.
TITOLO V, Articoli dal 117 al 133
Non è stato riformato bene il criticatissimo Titolo V, frutto della riforma costituzionale del 2001.
Alcune materie sono state riportate in capo allo stato e questo tutto sommato non è sbagliato. Non è condivisibile invece il modo in cui è stato superato il regime “concorrente” delle competenze di Stato e Regioni, non perché andasse mantenuto, ma proprio perché diverse formulazioni del nuovo articolo 117, ripropongono il regime di legislazione concorrente che tanti danni ha fatto negli ultimi 15 anni, generando confusione, sovrapposizione, una concorrenza sulle stesse materie pasticciata e sleale tra diversi organi dello stato che è proprio il contrario di ciò che vuole la Costituzione.
Ma la vera novità negativa è laddove, nel nuovo titolo V, all'articolo 117 comma 4, si prevede di risilvere queste controversie con un potere di intervento senza limitazioni nei confronti della legislazione regionale, la cosiddetta “clausola di supremazia”. Si tratta di uno strumento che può essere necessario ma solo se considerato eccezionale e, in quanto tale, ne andrebbe circoscritto l'utilizzo se non si vuole annullare di fatto la potestà legislativa e l'autonomia delle regioni.
CONCLUSIONI
Questa riforma è da rigettare dunque, a mio parere, per le cose che sono state scritte – male – e anche per quelle non scritte. Il Presidente del Consiglio minaccia la UE di non firmare più trattati europei in cui sia citata la clausola del “fiscal compact”. Viceversa, ora che ne aveva l’occasione, non interviene nel testo costituzionale per sopprimere la norma introdotta in Costituzione nel corso del governo Monti.
Si introduce in Costituzione la regolamentazione delle indennità in favore dei Consiglieri Regionali e non si interviene sulle indennità dei Deputati.
Si riducono i Senatori e non si interviene sul numero dei Deputati, quando poteva essere l’occasione per un riequilibrio fra le due istanze, seppure riformate.
Infine, con una campagna elettorale molto aggressiva il Presidente del Consiglio, in tutte le sedi, ha pervicacemente negato che la riforma sposti il potere e gli equilibri della Repubblica a favore del governo.
Come ultima osservazione di questo testo vorrei ricapitolare, anche se in modo non esaustivo, alcuni casi in cui ci troveremo di fronte a maggiori poteri dell'esecutivo se la riforma costituzionale verrà approvata.
Nella vita parlamentare risalta la clausola prevista all'articolo 72, comma 7, in base alla quale “ il Governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l'attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità e sottoposto alla pronuncia in via definitiva... entro il termine di settanta giorni.”
Poiché questa nuova prerogativa si aggiunge agli altri strumenti a disposizione del governo che la riforma non ha toccato quali decreti legge, voto di fiducia inflazionato, maxi-emendamenti e altri strumenti per fermare la dialettica parlamentare, è evidente che in questo modo si accresce il potere dell'esecutivo nei confronti di un parlamento sempre più subordinato a tutte le decisioni governative.
Alla medesima logica risponde la clausola di supremazia prevista nei confronti della legislazione regionale (inutile ripetere qui le considerazioni svolte poche righe più sopra).
A queste novità bisogna poi aggiungere la modifica dei rapporti di forza parlamentari determinato dal premio di maggioranza previsto dalla legge elettorale e dal passaggio da 315 a 100 componenti del nuovo Senato. Come già osservato sopra, nel caso di votazioni di assoluta importanza come quella per l'elezione del Presidente della Repubblica, o per i membri della Corte Costituzionale, si misurerà pienamente lo strapotere della maggioranza nei confronti del parlamento.
Basta mi fermo qui, mi pare che ce ne sia abbastanza per bocciare la riforma ed esprimere un tranquillo, meditato e razionale NO.