INTERVENTO DI MASSIMO MEZZETTI ALL'APERTURA DELLA FESTA NAZIONALE DELL'ANPI, Carpi 30 maggio 2015 (versione integrale)
70 anni sono passati, 70 anni e, nonostante i tanti tentativi di disconoscere questa realtà, Resistenza, Costituzione e Repubblica continuano ad essere i tre eventi costitutivi dell'identità nazionale, che stanno ancor oggi a fondamento della coscienza civile degli italiani.
Questo
perché eventi di così grande portata non hanno soltanto un carattere
storico, per quanto importante. Da essi si è
sprigionato e continua a sprigionasi un messaggio di grande spessore, che esige di essere decifrato mediante un serio accostamento antropologico ed etico.
Questo
accostamento appare oggi ancor più necessario di fronte
all'affermarsi di spinte involutive che
tendono a sminuire il valore delle
scelte passate, dando vita a ricostruzioni sommarie e sfociando persino in
atteggiamenti denigratori.
Il revisionismo storico
che si è più volte sperimentato nei confronti della Resistenza ha tentato e tenta
infatti di svuotarne radicalmente i
contenuti valoriali, destituendoli della loro forza liberatrice.
L'eredità della Resistenza, il
significato della Costituzione e dell'unità
repubblicana conservano intatto il loro valore, che non può essere ridimensionato, ma implica, per essere pienamente assimilato, uno sforzo di ripensamento e di adattamento alle nuove situazioni prodotte dal ritmo accelerato delle trasformazioni, che hanno soprattutto caratterizzato
questi ultimi decenni.
Le grandi
conquiste di libertà e di giustizia, che
sono state il frutto della lotta contro la dittatura
e dell'opera di ricostruzione della vita civile
nel nostro paese non possono essere impunemente cancellate;
devono piuttosto ricevere impulso dalle provocazioni che derivano anche dalle nuove visioni del mondo che sono
venute man mano emergendo.
La
democrazia non è mai una realtà compiuta ma un processo aperto, che esige di
essere costantemente portato
avanti in vista del conseguimento
di traguardi sempre più avanzati.
Ma la
condizione, perché questo avvenga, non può
essere semplicemente rintracciata in un
quadro di «regole», ispirate unicamente al consenso sociale o
incentrate su criteri utilitaristici; deve
piuttosto essere ricercata in un'istanza
etica forte, che fa da supporto a precisi contenuti valoriali e che
fornisce alle stesse regole un fondamento
irrinunciabile. Il futuro della nostra nazione è radicalmente segnato dalla fedeltà a questa istanza, le cui radici affondano negli eventi tante volte ricordati,
celebrati e studiati, i quali
acquistano pertanto un significato simbolico, che merita di essere
riscoperto e riproposto in tutta la sua profondità.
D'altra
parte, la tentazione spesso ricorrente di cancellare il
ricordo della Resistenza, in nome di un
frainteso concetto di pacificazione, da ottenere per alcuni mediante l'azzeramento del passato, oltre a far torto a quanti hanno lottato e sono morti per ideali irrinunciabili, rappresenta un inquietante sintomo di regressione che è doveroso respingere senza esitazione e timidezze.
È
anzitutto evidente che uno dei tratti peculiari
della cultura postmoderna è rappresentato
dall’appannamento, quando non dalla perdita della memoria
storica. L'accelerazione del tempo, dovuta al
progresso scientifico-tecnologico e alle sue ricadute sulla vita e sulla coscienza, produce inesorabilmente la tendenza al ripiegamento dell'uomo sul presente e determina l'ammutolirsi del passato, la sua caduta nell'insignificanza.
La
perdita delle radici pone l'uomo in
balia dell'istantaneo, privandolo di
qualsiasi tensione progettuale e
destituendolo di ogni capacità di impegno.
Memoria e
storia sono il contrario dell’oblio, che tende tutto a livellare, cancellando
le differenze e dissolvendo ogni aspetto di continuità.
Più che un
succedersi di avvenimenti concatenati
tra loro da un disegno unitario, una sorta
di filo rosso che li collega, la vita assume
le sembianze di una permanente «quotidianità»,
caratterizzata da accadimenti semplicemente accostati o giustapposti l'un l'altro, senza alcuna interna relazione, e perciò senza
continuità temporale.
Il declino della «memoria»,
soprattutto di quella relativa agli avvenimenti più recenti, è la logica
conseguenza di questo
assottigliarsi della percezione del tempo,
di questa riduzione dello scenario in cui
si dispiega l'esistenza; in definitiva, di questa
assenza di passato, che porta con sé anche l'incapacità
di aprirsi correttamente al futuro.
La rescissione totale delle
radici, oltre a costituire un elemento di
indubbia gravità per la coscienza
storica dell'uomo, è generatrice di esiti
traumatici che oggi segnano di sé
l'attuale condizione umana.
Dietro a
molte recenti ricostruzioni storiche della Resistenza, che
tendono alla sua demitizzazione, si cela spesso questa presunzione. L'immaginario collettivo viene radicalmente
demistificato, a motivo dell'esigenza di attenersi
rigorosamente ai dati oggettivi, deprivando
perciò l'evento del suo orizzonte simbolico
e tradendone la più profonda verità.
La
Resistenza non è infatti riducibile alla semplice
lotta armata, per quanto importante; è un evento che ha segnato di sé la vicenda storica di un popolo e la cui rilevanza complessiva diventa percepibile solo nel quadro di una
riflessione globale sugli aspetti culturali, morali e civili, che ne
definiscono l'ispirazione e ne motivano il senso.
La relazione tra fatti e
valori, pur nel rispetto della tensione che tra essi sussiste, non può essere cancellata: si tradirebbe altrimenti lo spessore reale dell'evento.
Il
fascismo non può infatti essere
considerato soltanto come un sistema
politico negatore della democrazia;
esso riveste una valenza molto più ampia,
fino a coincidere con una radicale interpretazione
della vita. La «mistica», che lo ha
caratterizzato e il cui fascino illusorio si è fatto
a lungo sentire su un'area consistente della popolazione italiana, è la chiara
dimostrazione di questa valenza. Il mito
della forza e della violenza, il
nazionalismo esasperato e il razzismo, il culto della
personalità e l'esaltazione del maschilismo
sono altrettanti fattori che
configurano una concezione dell'uomo
e della vita capace di permeare
profondamente di sé le coscienze e di tradursi in stili di vita
individuali e collettivi.
Un eroe della Resistenza veronese, Lorenzo Fava, così scriveva nel 1944 in un appello ai lavoratori destinato
alla pubblicazione su un foglio clandestino:
«I
mali più gravi sono in noi. Se gli uomini in camicia nera presto mancheranno, lo spirito del
fascismo perdurerà. Per spirito del fascismo noi intendiamo la disonestà, l'arrivismo, i facili guadagni, l'opportunismo, il timore
del rischio e il terrore della morte, l'egoismo
e la mancanza di dignità, la insincerità e la mafia, il protezionismo e il
nepotismo. Quando avremo abbattuto tutti questi colossali nemici, allora soltanto avremo eliminato lo spirito del fascismo».
La
Resistenza non è perciò identificabile solo
con l'epopea partigiana. Essa è frutto dell'azione coraggiosa di donne e
uomini, che colsero fin dall'inizio o percepirono in seguito durante lo svolgersi degli avvenimenti, la presenza nel fascismo di inquietanti elementi non soltanto di involuzione politica e democratica ma anche etica, culturale e civile,
e che ad essa si opposero con fermo e coerente
impegno morale e politico. Il movimento
resistenziale è dunque espressione della maturazione di una coscienza, che è
andata via via approfondendosi e
dilatandosi, fino a diventare
coscienza diffusa e popolare, e a determinare
di conseguenza la ribellione nei confronti
del regime.
I valori
di libertà e di democrazia, di giustizia
e di solidarietà, di salvaguardia
dei diritti degli individui e dei popoli
rappresentano una trama che collega
tra loro una molteplicità di esperienze
diverse, accomunate da un'identica passione
per il destino del paese e dell'umanità. La
memoria della Resistenza è anzitutto consegnata
a questo ricco patrimonio di valori che non può andare perduto ma deve essere
gelosamente custodito e costantemente rivisitato, perché non è
solo il leit-motiv
di una stagione storica, ma è il presupposto fondamentale per la costruzione di ogni assetto di convivenza democratica.
La
dimensione più profonda della Resistenza è
dunque rappresentata dall'elaborazione di
un'etica civile, destinata a segnare di sé
la vita del nostro paese.
I
principi informatori della
Carta Costituzionale, attraverso la quale
l'Italia si è sforzata di ricostruire, dopo la caduta del fascismo, un nuovo ordine democratico,
trovano qui il loro fondamento.
La stretta
coniugazione di libertà e di giustizia,
il rispetto dei diritti dei singoli e l'attenzione
all'interesse generale, l'affermazione della
pari dignità ed uguaglianza di ogni persona
e insieme della comune solidarietà, il riconoscimento
dell'autonomia dei gruppi sociali e
del necessario decentramento dei poteri
dello Stato, ma, nello stesso tempo, l'esigenza
di un rafforzamento dell'appartenenza
nazionale sono alcuni degli aspetti principali
della nostra Costituzione (non tutti ancora
pienamente attuati),'che riflettono i valori
più genuini dell'antifascismo e della Resistenza
e sui quali è venuto costruendosi il tessuto
della vita sociale e politica della Repubblica italiana in quest'ultimo
cinquantennio.
La
Costituzione italiana non ha infatti soltanto il carattere di carta delle «regole», che devono presiedere al corretto funzionamento delle istituzioni pubbliche, ma è anzitutto carta dei «valori», che definiscono il senso dell'appartenenza collettiva, e sono pertanto destinati a creare le condizioni per una ordinata convivenza civile.
La nostra Carta Costituzionale è permeata da un grande afflato etico, che si incarna tanto nel riconoscimento di valori fondamentali come quelli della libertà e dell'uguaglianza, della democrazia e del pluralismo quanto nell'impegno positivo di individuare gli strumenti capaci di renderli efficacemente operativi nell'ambito della vita sociale.
Il patto
di reciproca convivenza che dalla
Costituzione scaturisce e che è il risultato di un
compromesso nobile tra posizioni diverse,
non poteva infatti aver luogo senza la
convergenza attorno a valori comuni,
universalmente riconosciuti come base fondativa
della vita associata e come presupposto irrinunciabile dell'azione
politica.
Nell'attuale
congiuntura storica, in cui le tendenze
revisioniste non si limitano a mettere
sotto processo aspetti particolari, legati al cattivo
funzionamento dei meccanismi istituzionali,
ma pretendono talora di ridiscutere gli stessi principi fondamentali ai quali è
ancorata la vita democratica, recuperare l'ethos della Costituzione diventa un dovere irrinunciabile.
Le innovazioni, che
è legittimo introdurre per rendere più
snelle le procedure di gestione
della vita pubblica, non possono cancellare
o rimuovere il patrimonio della memoria storica, che sta a fondamento della
nostra Repubblica e che rende vitali
gli stessi rapporti tra le
generazioni.
Un patrimonio che non
riguarda unicamente l’esperienza drammatica vissuta dal popolo italiano in
quegli anni ma, come ci incitava a pensare Dossetti, guarda all'orizzonte globale, universalistico, nel quale
va ricondotta la matrice profonda
dell'ordinamento costituzionale.
La Costituzione è il
frutto di un ethos
comune, consolidato da esperienze negative e alimentato
da una forte tensione morale presente
nella società. Un ethos che andava ben al di là delle differenze ideologiche caratterizzanti le aree che hanno espresso i vari partiti politici e rappresentava il dato decisivo attorno al quale si è coagulata la volontà di coloro che hanno preso parte
all'assemblea costituente. Il confronto serrato
tra le tre grandi correnti culturali - quella
cattolica, quella di ispirazione marxista e quella liberale - è stato sorretto da un comune sentire, che ha
reso possibile il superamento delle pur consistenti divergenze che le contrapponevano - e che sarebbero in seguito tornate
a contrapporle - per creare condizioni
di collaborazione tali da consentire
di dare al nostro paese un documento
capace di svolgere un ruolo
unificante. L'emergere sul piano dei
contenuti di posizioni diverse, e talora persino radicalmente
antitetiche, non ha vanificato la possibilità
di confluire in un terreno comune
costituito dall'adesione a principi morali considerati imprescindibili.
La marcata distanza tra concezioni
ideologiche, che hanno fatto da
supporto a progetti politici alternativi, si accompagnava ad una grande convergenza sul terreno etico, che favoriva
il dialogo e conferiva la capacità di un accordo di altissimo livello.
E quanto
è amaro, diciamoci la verità, constatare l’abisso tra il clima che si respirava
e che rendeva feconda l'azione
dei Costituenti e quello che caratterizza oggi le nostre istituzioni politiche.
Il momento storico,
nel quale. si sono svolti i lavori della Costituente, deve perciò essere considerato come un momento unico ed irrepetibile, al quale occorre ancor oggi fare riferimento, se si intendono ritrovare, sia pure aggiornandole e ridefinendole, le motivazioni che vanno poste alla radice dell'identità nazionale, perché fondano la possibilità di una convivenza civile libera e giusta.
Il progetto etico soggiacente alla Costituzione conserva infatti intatta la sua attualità.
La visione che sta a fondamento del
suo intero impianto, incentrata sulla realtà della
persona e sulla tutela della sua dignità, nonché sul riconoscimento della fondamentale importanza del lavoro e della cultura come cespiti di un'autentica realizzazione umana e presupposti essenziali per il pieno dispiegamento di una cittadinanza civile socialmente impegnata, costituisce un dato irrinunciabile,
che va assolutamente salvaguardato.
Altrettanto
irrinunciabile risulta la delineazione dei
diritti di libertà e di quelli sociali, e soprattutto la prospettiva secondo la quale vengono messi in rapporto tra loro: prospettiva che definisce anche l'orientamento delle varie attività socio-economiche e politiche e dei
legami che tra queste devono intercorrere nel segno di un'interazione positiva tra sussidiarietà e solidarietà.
È allora
evidente che qualsiasi azione riformatrice
non possa prescindere dal rispetto di queste
fondamentali direttrici, che riflettono lo spirito che anima
la Costituzione, e in cui si radicano i
principi, che hanno consentito al nostro paese lo sviluppo di un'autentica vita democratica. I valori che la Costituzione disegna nella sua prima parte, in quanto radicati nel tessuto sociale, sono stati a
fondamento di un diffuso senso di
«appartenenza» che ha definito l'identità della nostra nazione e fonda ancora oggi la convivenza civile sul
rispetto di precisi diritti e
doveri.
Per questo
va respinto ogni tentativo di svalutazione
della Carta Costituzionale, come quello
che conduce impropriamente e superficialmente a parlare di «seconde o
torze Repubbliche», quasi si trattasse di
accantonare radicalmente il passato, rinunciando
al sistema di libertà e di garanzie
faticosamente conquistato. Il grande spessore
etico e culturale delle affermazioni della
Costituzione sui diritti inviolabili dell'uomo, sui doveri di solidarietà politica, economica e sociale, sulla pari dignità della persona,
senza distinzione di sesso, di razza, di lingua
e di religione, sul ripudio della guerra sono altrettanti presupposti della democrazia che non possono venire accantonati.
Questo
non significa, ovviamente, che si debba
negare la possibilità (e persino la necessità)
di procedere ad una sua revisione, che tenga
conto delle mutate condizioni socio-culturali del nostro paese
e, più in generale, del processo di
unificazione europea, la cui
espansione esige l'adozione di regole nuove.
Al
riguardo, risulta anzitutto evidente l'esigenza
di affrontare alcune questioni, emerse in questi ultimi
decenni, che non hanno trovato (e non
potevano trovare) il giusto spazio
nella Carta Costituzionale. Si pensi al complesso problema delle comunicazioni sociali, affrontato in modo del tutto insufficiente dall'art. 21, non esistendo ancora l'attuale sistema multimediale; o ancora al problema ecologico, solo parzialmente sfiorato dall'art. 9, in cui si considera la tutela del paesaggio solo come bene estetico; o infine al problema
dei diritti di cittadinanza degli immigrati, divenuto
oggi particolarmente rilevante ma
allora del tutto ignorato essendo l'Italia
piuttosto un paese di emigrazione.
Ma
l'attuale processo di riforma della Costituzione è
soprattutto volto a ritrascrivere la seconda
parte alla ricerca – almeno così dovrebbe essere - di un più serio bilanciamento tra esigenze di efficienza e di governabilità da un lato, ed esigenze di rappresentanza e di partecipazione dall'altro.
Ormai
tutti riconoscono l'ineludibilità
della revisione di alcuni meccanismi
istituzionali in ragione del cattivo funzionamento di
alcuni aspetti del sistema politico, che hanno determinato, soprattutto negli ultimi decenni, la paralisi dell'attività di governo e generato pericolose forme di inquinamento morale della vita pubblica. La ricerca di un nuovo equilibrio nei rapporti tra i diversi poteri, con l'acquisizione di una maggiore
autonomia tra essi sono elementi di un processo di riforma che non può essere eluso.
La complessità
dell'operazione attualmente in
corso esige tuttavia che ci si muova con oculatezza e
ponderazione. Lo stretto rapporto
intercorrente tra i principi fondamentali, contenuti nella prima parte, e i dispositivi tecnico-amministrativi della seconda parte comporta una seria attenzione a non intaccare le basi stesse della Costituzione. Le decisioni che si stanno assumendo sono infatti soltanto apparentemente tecniche; in realtà chiamano più radicalmente in causa i contenuti essenziali,
e dunque valoriali, sui quali si è costruita
la democrazia repubblicana.
Come ha avuto modo di dire il presidente (ora
emerito) della Corte Costituzionale Valerio Onida, questo scenario potrebbe
“non significare democrazia più immediata, ma meno democrazia”.
Le
Costituzioni sono fatte di pasta specialissima
La materia speciale di cui sono fatte le
costituzioni è l’adesione a qualcosa da costruire in comune. Azione costituente
è precisamente cercare i contenuti di questa adesione e metterli per iscritto.
A volte affiora invece la tentazione del risultato contrario: la sconfitta
dell’avversario, con un colpo di maggioranza assestato con forza dei numeri.
La riforma della
Costituzione è una cosa seria, che
va affrontata con coraggio, ma anche con
lucidità e con un preciso senso del limite.
Ecco, in
conclusione…tutto questo ragionamento mi è servito per dire che la Resistenza
non può essere dunque identificabile solo con i fatti d’arme
circoscritto nel tempo e nello spazio. Essa è stata il frutto dell’azione
coraggiosa di donne e uomini, che colsero fin dall’inizio o percepirono in seguito durante lo svolgersi degli avvenimenti, la presenza nel fascismo di inquietanti elementi non soltanto di involuzione politica e democratica ma anche etica, culturale e civile, e
che ad essa si opposero con fermo e coerente
impegno morale e politico. Il movimento
resistenziale è stato dunque espressione della maturazione di una coscienza,
che è andata via via approfondendosi e dilatandosi,
fino a diventare coscienza diffusa e popolare, e a determinare di conseguenza la ribellione nei confronti del regime.
I valori di libertà e di
democrazia,
di giustizia e di solidarietà, di salvaguardia
dei diritti degli individui e dei popoli
rappresentano una sorta di filo conduttore che collega tra loro una molteplicità di esperienze diverse, accomunate da un’identica passione per il destino del paese e dell’umanità ed è il presupposto fondamentale
per la costruzione di ogni assetto di convivenza
democratica.
La dimensione più profonda
della Resistenza è dunque rappresentata dall’elaborazione di un’etica civile, destinata a segnare di sé la vita del nostro paese.
I principi informatori
della Carta Costituzionale, attraverso la quale
l’Italia si è sforzata di ricostruire, dopo la caduta
del fascismo, un nuovo ordine democratico, hanno trovato lì il loro fondamento.
Salvaguardare la memoria
di questa etica, su cui si sono costruiti i legami di
appartenenza alla nostra nazione, ci sembra un compito inderogabile di ogni cittadino che abbia seriamente a cuore le sorti della democrazia.
Se crediamo, e io ci credo, che queste parole
hanno un loro fondamento, allora è tutto qui il senso di essere ancora qui,
ancora una volta, dopo 70 anni.
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