martedì 25 novembre 2014



CONTINUIAMO A SEGUIRE IL FILO ROSSO

Continua la polemica sulla sottovalutazione che il segretario/premier fa del record di astensionismo registrato nelle elezioni regionali di domenica. Se ci si continua a concentrare sull’idea di sottovalutazione data dall’arroganza e dalla superficialità dell’individuo si compie, a mio avviso, un errore grossolano. Renzi non sottovaluta affatto, semplicemente non gliene frega assolutamente nulla se crollano i votanti così come non gliene frega se crollano gli iscritti al suo partito. A lui interessa unicamente mantenere invariati i rapporti di forza a suo vantaggio, nel Paese come nel partito. Tutto è funzionale ai suoi fini. Anzi, il tutto è pienamente compatibile e in sintonia con l’idea di politica che, al di la dell’ipocrisia sfacciata della sua lettera a La Repubblica, egli persegue. Un partito leggerissimo e debole e, proprio per questo funzionale al suo leader, e un corpo elettorale che espelle il dissenso, soprattutto quello interno alla sua area,  nell’astensionismo piuttosto che vederlo riorganizzare sotto altri simboli e progetti. In fin dei conti è quello che ha esplicitato immediatamente dopo i risultati: “nessuna formazione politica alla sinistra del Pd ha raccolto significativi risultati. Hanno avuto cifre da prefisso telefonico”. E su questo, come dargli torto? Alla fine, il dissenso astensionista risulta, come sempre è stato nella storia, innocuo e inconcludente.
Su questo però sarà bene aprire fra noi, a sinistra, una riflessione serie. Non demagogica, propagandistica e settaria. Lasciamoci alle spalle la campagna elettorale e ragioniamo lucidamente al netto della vis polemica che ci distingue sempre. SEL e Altra Emilia Romagna non hanno rappresentato una valida e credibile alternativa per quei 500 mila e rotti voti che sono mancati al Pd tra le europee e oggi, oppure 350 mila nel confronto con il 2010. Abbiamo intercettato una minima parte di quel voto. Ne ha intercettato di più SEL che, nel frattempo, ha ceduto qualcosa all’AER e tutti e due abbiamo anche noi dato qualcosa all’astensionismo. Risultato: 7% in due. Siamo onesti: a continuare così non andiamo da nessuna parte. Né vale recriminare che se ci fossimo presentati insieme avremmo avuto un risultato più soddisfacente. Ammesso e non concesso che in politica si possano sommare i voti aritmicamente, non ci saremmo scostati da questa cifra, in basso o in alto, e avremmo eletto solo 2 consiglieri invece che 3. Anche in questo caso i rapporti di forza a vantaggio del PD sarebbero rimasti inalterati, anzi peggiorati perché il PD avrebbe portato a casa 31 consiglieri invece che 29.
E’ ora di aprire una nuova stagione. Il segretario regionale della FIOM, Papignani, ieri l’ha chiamata la “quinta stagione”, indicando la necessità di “ricostruire una sinistra moderata e socialdemocratica, che unisca il mondo del lavoro e organizzi la società con più tutele sociali e idee di sviluppo”. Sono d’accordo con lui. Questo deve essere il nostro compito, parlando con tutti, raccogliendo tutte le forze a disposizione di questo progetto, anche quelle che oggi ci paiono annichilite dall’offensiva renziana dentro il pd. Non può che essere questa la strada da seguire, con intelligenza e lungimiranza, con pazienza certosina e senza settarismi. Possiamo e dobbiamo cominciare a lavorarci anche dentro la nuova Assemblea legislativa. SEL ha eletto due giovani e capaci consiglieri. AER ha eletto un uomo di spessore intellettuale coe il giuslavorista Piergiovanni Alleva. Nelle file del PD sono stati eletti diversi consiglieri che fanno riferimento alle aree oggi in opposizione a Renzi dentro quel partito. Costruiamo sinergie e intese su assi di lavoro comune. Facciamo crescere un'idea di sinistra che la prossima volta meriti la fiducia dei delusi. Per il bene del Paese possiamo e dobbiamo avere l'ambizione di essere, come Emilia Romagna, di nuovo "laboratorio di buone pratiche della politica".
Ricominciamo da qui a srotolare il nostro filo rosso.
Igor Taruffi e Yuri Torri, adesso il gomitolo passa a voi.
Buon lavoro!

martedì 18 novembre 2014


IO TI CONOSCO, IO SO CHI SEI…
Lettera aperta ai compagni e alle compagne che nel Pd si onorano ancora di questo appellativo.
(Ps: siccome ci sarà chi mi accuserà di avere usato troppe parole, dico subito che odio la stitichezza dei tweet e amo la “fatica del concetto”)

Caro compagno e cara compagna,
ho parafrasato le parole della canzone di Mina perché abbiamo fatto insieme un lungo pezzo di strada della nostra vita e della nostra militanza politica. Abbiamo condiviso speranze, passioni, ideali, gioie e delusioni. Abbiamo seguito un filo rosso comune. Poi ognuno è andato per la sua strada: tu nel Partito Democratico e io in Sinistra Ecologia e Libertà. Entrambi abbiamo fatto la nostra scelta convinti che comunque lavoravamo per una comune prospettiva politica: declinare e rinnovare gli ideali di uguaglianza, di giustizia, di solidarietà, di dignità dell’uomo e della donna, costruire un ambiente di libertà e di uguaglianza per tutti. In poche parole, riscrivere l’abecedario della sinistra del XXI secolo, il rapporto con il futuro.
Siamo riusciti a farlo in questi anni? Dobbiamo essere onesti con noi stessi: ci abbiamo provato ma invece che avvicinarci, ci stiamo allontanando da questo obiettivo. Noi di SEL per le nostre debolezze e le nostre contraddizioni, voi del PD per scelta mirata e voluta dell’attuale gruppo dirigente e del segretario/premier che a fronte della necessità di mantenere fermo il principio di “sinistra” della speranza coraggiosa e lucidamente consapevole dell’enormità e della complessità dei problemi, insegue il vitalismo dell’attimo fuggente (un’idea di destino di perenne precarietà, come vediamo tradotta anche nelle nuove norme di diritto del lavoro) e ripropone al Paese la fuga nelle illusioni fantastiche, negli annunci iperbolici e astratti .
Non ti parlerò di art. 18 che è stato definito solo un simbolo. Si sa, abbattere i simboli nasconde la volontà di cancellare la sostanza che è dietro quei simboli e qui la sostanza è la dignità del lavoro e del lavoratore.  Né di parlerò del fatto che il tuo segretario/premier apre le porte dei suoi uffici a Berlusconi e Verdini e le sbatte in faccia ai sindacati dei lavoratori. Vorrei invece ragionare con te sul senso della scommessa su cui avevi riposto le speranze al momento della nascita del PD, senso che oggi si è fortemente appannato.
Non è infatti sufficiente, per la sinistra, liberarsi solo dei vecchi ideologismi. Essa deve al contempo ridefinire una propria autonoma identità. Ho sempre pensato che non possiamo e non dobbiamo accontentarci di rimbalzare dentro un campo polarizzato tra una sinistra “contemplativa”, attaccata a vecchi dogmi e di fatto residuale e testimoniale e, dall’altra parte, una sinistra, o che tale si autodefinisce, eclettica e spregiudicata, che ogni giorno che passa si affanna a tagliarsi ogni ponte alle spalle, in una sorta di palingenesi continua e costante in cui il giorno prima non è mai premessa del giorno dopo ma in cui ogni giorno è un nuovo inizio. Se davvero esiste una “terza via” da qualche parte credo che debba essere tra queste polarità: una forza della sinistra che accetta la complessità come terreno su cui misurarsi, una forza con salde radici e altrettanto saldi valori. Ma una sinistra anche che non ha paura di praticare le differenze, anche fra gli stessi membri della sua comunità.

Mi spaventa, e so che spaventa anche te, l’idea di un partito che tende ad annullare e confondere ogni identità e ogni differenza e che almanacca di un soggetto politico che abbraccia la Nazione fino ad essere autosufficiente e autistico. Se ci sono differenze c’è vita democratica. Io non capisco questa costante e ossessiva rincorsa verso il centro dello schieramento politico nell’annullamento di ogni differenza sostanziale: solo nella notte più impenetrabile le vacche sono tutte nere. Si invoca la fine delle ideologie per decretare la fine della società conflittuale e della necessità delle stesse rappresentanze sindacali: si evoca l’idea di una società ormai unificata in una condizione uniforme e di un pensiero unico dove la politica si rivolge alla figura astratta del cittadino medio che non ha né profilo culturale né profilo sociale.

Ma nella realtà i processi sono ben più complessi e gli spazi, i luoghi e i soggetti del conflitto si ridislocano ma non scompaiono. Un partito politico deve pur decidere come si colloca in questo conflitto, qual è il suo universo sociale di riferimento. E il cuore del conflitto, il discrimine invalicabile tra destra e sinistra ancora oggi è la prospettiva dello Stato sociale: se si lavora ad un sistema universalistico che assicuri a tutti un’effettiva cittadinanza fondata sulla giustizia sociale e la redistribuzione delle ricchezze o se, viceversa, c’è solo un intervento residuale di tipo assistenziale per chi arranca e non ce la fa a salire i gradini della scala sociale.
Essere di “sinistra” per me significa non rinunciare a credere che un altro mondo è possibile e a lavorare per questa prospettiva. Non possiamo acconciarci ad un più realistico e conformista dosaggio dell’attuale imperante modello neoliberista che affama due terzi del mondo.
Qualcuno si ostina a chiamarci “sinistra radicale”. Non siamo noi a essere radicali. Come non vedere che sono i problemi che la sinistra deve affrontare, se vuole andare oltre i vecchi confini e tornare ad affermare la sua capacità di guida, ad essere per se stessi molto radicali. Certo, tutto questo impone alla cultura politica della sinistra di uscire da vecchi schemi ma ripensare il suo passato non significa cancellarlo bensì richiede di salire sulle sue spalle per guardare più lontano. Per capire che quelli che chiamavamo “conflitti di classe” restano ma, al di là di essi, altri si presentano. E riguardano il controllo delle conoscenze, l’inclusione e l’esclusione, la capacità della politica di far valere l’interesse generale.
La trasformazione dell’Italia non sarà istituzionale, economica o giuridica se non si sarà in grado di operare una efficace e profonda trasformazione culturale, mentale, etica. E’ indispensabile che la politica, che appunto consiste nell’impegnarsi a governare una comunità organizzata,  innervi e venga innervata essa stessa da questa etica. E’ forte l’urgenza della ricostruzione di  un’etica pubblica. Ma una tale idee di etica pubblica non può non derivare da una profonda affermazione di una cultura della responsabilità individuale.

Oggi invece il circuito politico pare essere in grado prevalentemente di consumare cultura, di sfruttarla ma non di produrla. La politica è incapace di esprimere una conoscenza sistematica dei problemi. Più in generale manca un coordinamento teorico fra etica, diritto, politica ed economia. E’ nello slegame generale di ciascuno di questi campi d’azione che si annida il pericolo che diritti e dignità umane siano mortificati e violati.

Oggi so che sei preoccupato, deluso, incazzato perché vedi che questa che era anche la tua sfida, la tua speranza nel momento in cui avevi accettato la nascita del PD, sta svanendo sotto il passo veloce e incalzante del tuo segretario/premier. Assisti con crescente impotente timore, a volte smarrito, al progressivo spostamento della rotta impressa alla nave del PD verso una direzione che non ti aspettavi o che in cuor tuo speravi non dovesse mai avvenire. Devo confessarti che anche io, che li non sono, ci avevo però sperato, convinto come sono che se la sinistra in Italia perde il PD, perde tutta la sinistra in Italia.

Domenica prossima si vota per la nostra Regione. Hai l’occasione, con il tuo voto, di mandare un messaggio di cambiamento a chi dirige oggi il tuo partito. So che in molti che la pensano come te alberga la tentazione di mandare questo messaggio non recandosi, magari per la prima volta nella loro vita, alle urne. Così facendo però, paradossalmente rafforzerebbero l’attuale direzione di marcia del PD come è stato nel caso delle recenti elezioni europee. Il risultato del 40,8%, ottenuto anche in virtù del crescente astensionismo, è diventato la clava con cui menare fendenti a chiunque la pensi diversamente dal capo e si metta sulla strada della sua marcia trionfale.
SEL ha fatto una scelta difficile e scomoda per se stessa decidendo di rimanere ancorata alla sua ispirazione di forza di sinistra di governo e, nonostante la distanza che ci divide a Roma, abbiamo voluto ostinatamente ricostruire le condizioni di un governo comune in Emilia-Romagna convinti che una prospettiva di centro sinistra per il Paese la si può e la si deve ricostruire a partire dal territorio, riconducendo il PD a questa stessa prospettiva. Quello che ti propongo non è un patto di sangue per la vita ma una scelta lucida e razionale: il tuo voto a SEL. Un voto per non abbandonare il campo del centro sinistra ma semmai per rafforzarlo, per rendere più forti le ragioni della sinistra  del mondo del lavoro in questa alleanza e nello stesso PD.
Per usare le parole di Zygmunt Bauman “C’è più bisogno di socialisti da che è caduto il Muro di Berlino. Prima il comunismo è stato col fiato sul collo del capitalismo producendo un meccanismo di "controllo ed equilibrio" che ha salvato il capitalismo stesso dall’abisso. Ora è indispensabile il socialismo: non lo ritengo un modello alternativo di società, ma un coltello affilato premuto contro le eclatanti ingiustizie della società, una voce della coscienza finalizzata a indebolire la presunzione e l’autoadorazione dei dominanti”.

Buon voto!