VADEMECUM PER UN NUOVO PARTITO DELLA SINISTRA CHE UNISCA E
NON DIVIDA.
PER UN PARTITO DI LOTTA E DI GOVERNO.
PER UN PARTITO DI LOTTA E DI GOVERNO.
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L’obiettivo di costruire un partito che riesca a
mettere insieme le diverse anime della sinistra italiana è un obiettivo
generoso e giustamente ambizioso. Un obiettivo indispensabile per dare voce e
forza alle istanze politiche, sociali e culturali del mondo del lavoro e dei
soggetti più esposti ai processi di accumulazione del profitto che generano
disparità e ingiustizia sociale.
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Ricordarsi che non è la prima volta nella storia
della sinistra in Italia che qualcuno prova ad unirla.
Se fino ad oggi nessuno ci è riuscito ci sarà una qualche ragione. Cerchiamo di capire quale e di non ripetere gli stessi errori.
Se fino ad oggi nessuno ci è riuscito ci sarà una qualche ragione. Cerchiamo di capire quale e di non ripetere gli stessi errori.
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Mai, dico MAI, farsi incantare dalle previsioni
dei sondaggi (guardare alla voce Lista Arcobaleno delle elezioni politiche del
2008, quando i sondaggi ISPO la davano al 15%). Prendere
voti richiede fatica e sudore.
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Guardare all’Italia, al panorama politico
italiano, alle forze in campo nel nostro Paese e ai rapporti di forza esistenti
fra loro. Guardare alle esperienze di altri Stati a noi vicini può darci
qualche indicazione ma sarebbe sbagliato crearsi illusioni o aspettative alla
luce dei loro successi, può essere pericoloso. Podemos e Syriza crescono e si
affermano in assenza di una originale, nonché contraddittoria, esperienza
politica che in Italia raccoglie un robusto consenso elettorale: il M5S.
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Prima di cominciare qualunque percorso di unità
bisogna domandarsi: con chi? Per che cosa? Come?
Va da sé che le prime due domande sono strettamente correlate e precedono il “Come”. Partire dalla prima e dalla terza domanda e solo dopo porsi il tema del “Per cosa” espone al grave rischio del fallimento immediato o al primo scoglio che si incontra lungo il cammino. L’esperienza recente di Syriza dovrebbe insegnare qualcosa. L’edificio di un partito della Sinistra va costruito sulla roccia della strategia e non sulla sabbia dell’immediato obiettivo tattico elettorale.
Va da sé che le prime due domande sono strettamente correlate e precedono il “Come”. Partire dalla prima e dalla terza domanda e solo dopo porsi il tema del “Per cosa” espone al grave rischio del fallimento immediato o al primo scoglio che si incontra lungo il cammino. L’esperienza recente di Syriza dovrebbe insegnare qualcosa. L’edificio di un partito della Sinistra va costruito sulla roccia della strategia e non sulla sabbia dell’immediato obiettivo tattico elettorale.
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Prima dei programmi viene il pensiero, il
pensiero politico, la direzione di marcia dentro la quale inscriviamo, giorno
per giorno, le scelte programmatiche.
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Volere “tutto e subito” è un errore che nella
storia ha condannato alla sconfitta qualunque esperienza politica.
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Altrettanto fallimentare, e speculare a questa,
è stata l’idea di non accettare nulla oggi in attesa del radioso “sol dell’avvenire”.
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Porsi il tema del cambiamento e della
trasformazione della società richiede una particolare dose di coraggio riposta
nella consapevolezza che prima o poi ci si dovrà cimentare con il governo delle
istituzioni. Il cimento del governo può richiedere scelte difficili, graduali,
compromessi e mediazioni ma, soprattutto, una politica di alleanze, nella
società e nelle istituzioni stesse.
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L’idea di misurarsi con il governo della società
e del Paese solo quando si sarà conseguita da soli la maggioranza dei consensi
è un’idea balorda (non a caso perseguita dal M5S) che cozza con il buon senso
prima ancora che con la politica. E’ una idea che consegnerebbe la sinistra e
le sue istanze sociali all’oblio e all’insignificanza per lunghi anni a venire.
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Il Pd nazionale attualmente non rappresenta più
le istanze di quella parte della popolazione che abbiamo la giusta aspirazione
a rappresentare noi come Sinistra. Non le rappresenta per volontà del suo
attuale gruppo dirigente e del suo Premier. La breve esperienza di Italia Bene
Comune e di un nuovo Centro Sinistra è stata rinnegata e ritenuta conclusa da
Matteo Renzi. Accettare e dare per scontata l’impraticabilità di quella
esperienza è un atteggiamento paradossalmente subalterno a Renzi e a questo PD.
Sarebbe come dire che la Sinistra è morta e sepolta perché Renzi la ritiene
tale.
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Ricordarsi come era andata a finire una recente
e simile esperienza (sempre nel 2008 e sempre con L’Arcobaleno), quando la
invocata autosufficienza del Pd del Lingotto di Veltroni trovò la gioiosa accoglienza
di Fausto Bertinotti che dichiarò la “separazione consensuale”. Come andò a
finire (la drammatica cancellazione di tutta la sinistra dal parlamento e la
riconsegna del Paese nelle mani di Berlusconi) credo se lo ricordino tutti.
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Nei gruppi dirigenti del PD diffusi nei
territori non tutti la pensano come Renzi e i suoi più stretti collaboratori.
Disagio e dissensi più o meno espliciti vi sono anche nel corpo dei militanti e
soprattutto degli elettori e solo una parte (ancora piccola) di questo è
rappresentato da quanti hanno deciso di lasciare il PD.
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Con tutta questa area va mantenuta una
relazione, insieme a loro e a quanti sono usciti dal PD (a condizione che non
facciano del risentimento la cifra della loro azione politica perché non è con
il risentimento che si agisce lucidamente) dobbiamo operare sui territori per
ricostruire le ragioni e le condizioni di un nuovo Centro Sinistra (o come lo
si voglia chiamare) e dal territorio tornare ad affermare questa prospettiva
anche a livello nazionale sconfiggendo Renzi e cambiando il famigerato impianto
dell’Italicum.
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L’autonomia e l’identità di un Partito della
Sinistra non si affermano in rapporto alla distanza che si misura rispetto al
PD. Anche questa è il sintomo di una subalternità culturale e politica.
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L’opposizione al Governo Renzi è necessaria e
fuori discussione ma affermare che il PD è Renzi e che nel governo dei
territori il Pd non potrà che applicare pedissequamente le scelte e linee di
questo governo e che eventuali nostre alleanze sui territori ci renderebbero
complici è una colossale sciocchezza, una forzatura interpretativa e uno
schematismo astratto che non fa i conti con le dinamiche reali e neppure con la
complessità rappresentata da quel partito. Questa affermazione è a dir poco
ingenerosa, quando non è invece la palese manifestazione di totale assenza di
fiducia e di giudizio sulle intelligenze diffuse che abbiamo nei territori e
che stanno conducendo esperienze di governo significative e nel segno della
discontinuità con le politiche “romane”. Se in Emilia-Romagna tutte le forze
sociali ed economiche sottoscrivono insieme alla Regione un Patto per il Lavoro
e la Legalità che trova il consenso unanime della CGIL, significherà pur
qualcosa e questo è solo uno dei tanti esempi che potrebbero essere fatti. E’
tutto luci e nessuna ombra? Ma per carità! Nessuno è così sciocco da pensarlo e
dirlo. Ma, ancora una volta, l’esperienza di Tsipras ci dovrebbe insegnare cosa
significa misurarsi con le necessarie mediazioni, alle volte anche difficili.
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Le esperienze di governo in cui siamo o siamo
stati protagonisti e dove gli uomini e le donne di SEL hanno fatto la
differenza, vanno valorizzate e non ridimensionate per portare acqua alle
proprie tesi alternative al Centro Sinistra. Ripartiamo da Milano, Cagliari,
Genova, Rieti, Molfetta, Bologna, Lazio, Puglia….Riconquistiamo l’orgoglio e la
capacità di narrare le tante storie di buon governo di cui siamo stati e
continuiamo ad essere artefici. Non regaliamole al PD, non dissipiamo questo
patrimonio.
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Laddove governiamo lo facciamo in virtù di un
mandato che gli elettori ci hanno dato in base ad una proposta di alleanze e di
programmi. Quel mandato va rispettato e salvaguardato.
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Abbandoniamo l’idea che tutta la partita si
giochi a Roma: è un’idea vecchia, di palazzo e politicista. Come politicista e
opportunista e l’idea di concorrere nelle elezioni comunali ovunque con liste
alternative e antagoniste al Pd e poi, nei casi di ballottaggio, accordarci tra
il primo e il secondo turno con il migliore offerente laddove l’alternativa al
PD fosse il M5S.
Non si costruisce un Partito della Sinistra per posizionarlo tra l’incudine (PD) e il martello (M5S). A meno che qualcuno non pensi che la nostra strategia futura debba essere l’alleanza, non dichiarata per assenza di volontà dell’interlocutore, con il M5S.
Non si costruisce un Partito della Sinistra per posizionarlo tra l’incudine (PD) e il martello (M5S). A meno che qualcuno non pensi che la nostra strategia futura debba essere l’alleanza, non dichiarata per assenza di volontà dell’interlocutore, con il M5S.
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Un partito non può nascere con la vocazione
eterna alla sola alternatività al sistema o al solo governare fine a se stesso.
Berlinguer coniò il motto “Partito di lotta e di governo”. Questo dobbiamo
essere.
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Mettersi sulla strada dell’unità tra diverse
storie, percorsi, culture richiede il rispetto e l’ascolto delle reciproche
opinioni e idee. Pensare di costruire l’unità con gli anatemi e il riflesso
condizionato dell’uso delle categorie staliniste del tradimento e
dell’”intelligenza con il nemico” nei confronti di chi la pensa diversamente da
se, non porta lontano. Anzi, non porta proprio da nessuna parte. Iniziare un
processo unitario a sinistra invitando a farsi da parte e ad andare via chi ha
punti di vista differenti dal proprio, non sull’approdo finale ma sui contenuti
di questo processo, è privo di senso logico e denota un tratto
incontrovertibile di quel settarismo residuale per sconfiggere il quale era
nata SEL nel 2010.